BARTALI, GIUSTO FRA LE NAZIONI di Francesco Paletti

IL GIRO d’Italia di nuovo sul Monte Serra. Negli anni ’70 e ’80 c’è già passato tre volte e a Calci e dintorni stanno lavorando per riportarcelo. Per mostrare, «certo, gli effetti dell’incendio ma anche la volontà di una comunità che vuole risorgere» ha sottolineato monsignor Antonio Cecconi, parroco dell’Unità Pastorale della Valgraziosa e a lungo vicedirettore della Caritas Italiana. C’è questo sacerdote con una passione viscerale per il ciclismo, infatti, fra i principali animatori del comitato che sta nascendo per riportare la principale corsa ciclistica nazionale sul monte bruciato nel settembre scorso. E con lui ci sono anche i sindaci di Calci e Vicopisano, rispettivamente, Massimiliano Ghimenti e Juri Taglioli. «Cercheremo di fare pressioni sugli organizzatori per centrare quest’obiettivo già dall’edizione 2020 – ha proseguito il pievano di Calci- ovviamente mettendoci anche a disposizione per tutto il tipo di supporto e sostegno che, eventualmente, dovesse essere necessario da parte delle comunità locali».

L’occasione per lanciare l’idea e la proposta è stata la presentazione di “Ti stacco e poi ti aspetto”, l’audiolibro di Caritas Italiana, dedicato a Gino Bartali e curato da Roberto Tietto e Mite Balduzzi, che si è svolta nel febbraio scorso alle Officine Garibaldi. Due ore di aneddoti, sorrisi e anche un filo di commozione, moderate da Renzo Castelli e a cui sono intervenuti, insieme agli autori, anche monsignor Antonio Cecconi, i campioni toscani del delle due ruote Franco Bitossi e Guido Carlesi, l’empolese Leonardo Mazzantini, già gregario di Francesco Moser e la giovane ciclista calcesana Matilde Bertolini, oltre a a Ilario Luperini e a Piero Nissim che ha proposto la canzone dedicata al padre Giorgio e a Bartali, entrambi impegnati alla fine Seconda guerra mondiale nella rete clandestina che, in Toscana, salvò centinaia di ebrei dai campi di concentramento.

Un vero e proprio viaggio nella vicenda sportiva e umana del campionissimo Gino Bartali, durante il quale è stata anche ripercorso il ruolo avuto da Bartali nella rete di salvataggio attiva in Toscana verso la fine della Seconda Guerra Mondiale, guidata dal rabbino di Firenze Nathan Cassuto e dal cardinale Elia Dalla Costa, e anche proprio grazie al ruolo del grande ciclista, trasformatosi in quei mesi in corriere per trasportare i documenti falsi che consentirono di salvare la vita a circa 800 ebrei. Una vicenda venuta alla luce solo molti decenni dopo e che il campionissimo fece di tutto per tenere nascosta perché “il bene si fa ma non si dice” e perché “certe medaglie si appendono all’anima e non al vestito”, come disse proprio un imbarazzato e quasi infastidito Bartali quando ormai la cosa era divenuta di dominio pubblico, tanto che, nel 2013, fu anche riconosciuto come “Giusto fra le nazioni” dallo Yad Vashem, il Museo dell’Olocausto di Gerusalemme.

Fu proprio in quei mesi che il campionissimo fiorentino, epica figura di un ciclismo popolare e polveroso, conobbe il ragioniere pisano Giorgio Nissim. Ad unire due universi così apparentemente lontani e distanti fu la collaborazione con la Delasem, l’associazione ebraica nata per dare assistenza ai correligionari internati in Italia durante la Seconda Guerra e con cui collaboravano fattivamente numerosi membri del clero toscano. Dopo gli arresti di Raffaele Cantoni e del rabbino di Firenze Cassuto, infatti, Nissim si ritrovò di fatto a guidarne la sezione toscana di cui Gino Bartali erano uno dei principali collaboratori, grazie alla libertà di movimento di cui godeva per potersi allenare e alla fama che lo teneva lontano da ogni possibile controllo. Nissim, Bartali e gli altri collaboratori della Delasem toscana, insieme, salvarono quasi ottocento persone.

Per tutta la vita, invece, li ha uniti anche un carattere schivo e riservato. Alla fine della guerra Nissim tornò a fare il ragioniere. E Bartali a vincere corse in bicicletta. Nessuno dei due fece quasi più parola di quanto fatto fra il ’43 e il ’45. La vicenda del primo divenne di dominio pubblico solo nel 2005 dopo che la famiglia autorizzò la pubblicazione di un volume di memorie. Quella di Bartali poco prima, quando il figlio Andrea rese noti quei documenti che il padre non aveva mai voluto divulgare.

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