Dialoghi sul confine

Maddalena Fossi
Intervista a Ahmed Bamba e Cherif Soualiho

A margine dell’alluvione mediatica sul tema dell’immigrazione, ci interessa aprire un dialogo concreto con chi è arrivato in Italia fuggendo da una vita insostenibile e dopo un viaggio che spesso non si può raccontare. Ci interessa sapere cosa pensano di noi, del nostro Paese, delle difficoltà quotidiane che un richiedente asilo incontra nelle nostre città. Presentiamo l’estratto di un’intervista progettata all’interno del laboratorio di teatro sociale WALKSCAPES, curato da IsolecompreseTeatro di Firenze.
Ahmed Bamba: Mi chiamo Ahmed Bamba e vengo dalla Costa d’Avorio, ho 24 anni. Sono arrivato in Italia il 7 settembre 2016. Non avevo pensato che sarei arrivato in Italia, sono finito qui per caso. Quando sono sbarcato ero un po’ in confusione perché non sapevo di essere in Italia.
Cherif Soualiho: Mi chiamo Cherif Soualiho, vengo dalla Costa d’Avorio, ho 24 anni. Anche io sono arrivato in Italia per caso, un anno e mezzo fa. Io ho sempre pensato che avrei vissuto nel mio Paese per tutta la mia vita, ma poi è stato impossibile rimanere, allora sono stato obbligato ad andare via.

Come vi immaginavate l’Italia appena siete arrivati?
AB: Quando sono arrivato qui non mi fidavo degli italiani, adesso capisco che ci sono molte differenze.
CS: Quando sono arrivato ho tirato un sospiro di sollievo, ero molto contento. Per me arrivare in Italia è stato la fine di tutte le sofferenze che ho passato. È iniziata una vita nuova.
Ora che vivete in Italia da più di un anno, che cosa avete scoperto di diverso da come ve l’eravate immaginato?
AB: La prima cosa che ho pensato dell’Italia è che fosse un paese tranquillo, con delle regole, dove le persone hanno un comportamento che a me piace. Gli italiani studiano tanto, più di noi, e questo li fa essere diversi. Quando sono arrivato pensavo che gli italiani fossero cattivi perché ho visto quello che succede in Libia, e dato che l’Italia e la Libia sono molto vicine pensavo che gli italiani fossero uguali ai libici! Poi ho visto che non era così.
CS: Via via che passa il tempo scopro tante cose differenti in Italia. C’è una cosa che vedo sempre in televisione e sui giornali che non capisco bene: l’integrazione. Ma cos’è questa integrazione? Quello che fanno gli italiani su di noi? Per me integrarsi vuol dire che quando sei straniero e vai in un Paese nuovo, per vivere bene lì devi vivere come loro, devi rispettare le loro regole, devi fare come loro. Possiamo fare così ma spesso non ne abbiamo l’opportunità. La società è un po’ chiusa per noi.

Quali sono le cose più difficili della vita qui in Italia?
BA: In Italia c’è un grande problema: il lavoro. Se non c’è lavoro tutto è difficile. Anche rapportarsi con gli italiani è difficile… ho la sensazione che tutti possano pensare che non sia una brava persona. Succede questa cosa strana: ci sono molti africani che vendono cose per strada, allora quando io mi avvicino a qualcuno per chiedere un’informazione o il nome di una strada… loro non mi rispondono e vanno subito via!
CS: Quello che noi sentiamo spesso per le strade e in autobus è una sensazione di fastidio nei nostri confronti. Sull’autobus quando vedo una persona anziana e gli cedo il posto, quella persona dice “no no” e rimane in piedi anche se è molto anziana, oppure preferisce l’invito a sedersi di un’altra persona bianca. Penso che tutti i migranti vengono giudicati uguali. Ma non siamo uguali, anche solo l’Africa per esempio è grandissima e abbiamo culture diverse. La società italiana è chiusa. Vogliono che “facciamo l’integrazione”, che facciamo volontariato. Noi abbiamo le idee e la voglia per farlo, abbiamo la forza, abbiamo il coraggio per farlo. Ma dove trovo l’opportunità di fare esperienza? Sapete tutti che noi siamo qua. Siamo qua e abbiamo bisogno di lavoro. Possiamo anche fare lavori umili ma… pensiamo insieme a qualcosa da fare che sia veramente utile per tutti.

Quali sono le cose che ti piacciono di più dell’Italia?
AB: Mi piace la scuola, mi piacciono gli italiani che conosco, mi piace che l’Italia è un po’… come si dice… romantica, mi piacciono le belle case che ci sono. E poi mi piace il teatro, mi piace molto. Non l’avevo mai fatto, ma dalla prima volta subito mi è piaciuto: gli operatori del centro di accoglienza mi hanno proposto di fare un laboratorio… io non sapevo che cosa voleva dire ma ho pensato che dovevo farlo. Ho trovato amici stranieri e italiani, mi ha aiutato anche per migliorare la lingua italiana. Adesso va meglio di prima.
CS: Dell’Italia mi piace che i nostri diritti sono rispettati. Ad esempio andare a scuola è importantissimo per noi. E i progetti di accoglienza lavorano molto su questo, sappiamo che senza imparare la lingua è tutto più difficile. Ho fatto tante cose da quando sono arrivato, ho partecipato come volontario a un progetto di sensibilizzazione sulla disabilità in Toscana, poi ho iniziato il corso di formazione per lavorare nella Misericordia. Il teatro per me è stata un’opportunità, per fare uscire fuori le cose che sono dentro di me. Fin da piccolo ho sempre pensato che mi sarebbe piaciuto fare l’attore, lavorare nel cinema.

È difficile fare amicizia o stringere rapporti con gli italiani?
BA: L’amicizia si basa sul rispetto e sull’aiuto reciproco. È molto difficile fare nuove amicizie con i ragazzi italiani. Ho trovato qualche amico vero qui a Firenze, ma soprattutto stranieri. Con le ragazze è ancora più difficile, forse a loro non piacciono gli africani. L’amore per me è qualcosa che si capisce e basta. Devi avere un cuore buono e se ami una persona devi essere preciso e rispettare la persona.
CS: Fare amicizia qui è molto difficile. Non lo so che cosa pensano di noi. Per esempio giochiamo insieme a calcio con dei ragazzi italiani, ma dopo la partita tutto finisce. Questa non la chiamo amicizia. Per me l’amicizia è essere davvero in contatto, chiamarsi per telefono. L’amore è importante, tantissimo. Non si vede ma esiste. L’amore c’è. È difficile conoscere le ragazze italiane. Non sono abituato a parlare alle ragazze, quindi quando mi avvicino ad una ragazza italiana e parliamo… il mio cuore fa bum bum bum!

Che cosa vi manca di più della Costa d’Avorio e invece quali progetti avete per il futuro?
AB: La cosa che mi manca più è Plateau, un quartiere di Abidjan. Nel futuro mi piacerebbe continuare a fare il teatro e avere un lavoro come camionista.
CS: Mi manca mia madre, i miei genitori. Per il futuro desidero fare una formazione per cercare un lavoro e diventare indipendente.

Ora che conoscete un po’ l’Italia, cosa pensate che servirebbe per stare meglio?
AB: Noi abbiamo bisogno di aiuto, abbiamo bisogno di fare amicizia con le persone, studiare e conoscere tante cose dell’Italia. Gli italiani dovrebbero cercare di fare amicizia con noi africani perché noi siamo qui vicino a voi. Se io sbaglio qualcosa allora dovete dirmi cosa ho sbagliato: la vita ha bisogno di consigli. Quando un africano fa qualcosa di sbagliato allora sembra che tutti gli africani siano brutte persone, ma non è così. Come gli italiani anche noi siamo tutti diversi. Vorrei dire agli italiani che non siamo delle brutte persone. La nostra pelle è diversa, è vero, ma il cervello non è differente. Noi abbiamo sangue, voi anche. Quando moriamo andiamo tutti sotto terra. L’Italia potrebbe essere un Paese unico, bello, ma il razzismo divide l’Italia in tante piccole Italie differenti. Dobbiamo buttare via il razzismo!
CS: La prima cosa che dobbiamo fare è abbattere il muro che esiste tra di noi. Ognuno di noi deve essere responsabile di quello che fa, voi invece potete aiutarci a conoscere questo Paese. In Africa le persone lavorano e hanno tanta esperienza in tanti campi: tutto questo può essere utile alla società italiana. Ogni migrante ha la sua esperienza, il lavoro che faceva prima di arrivare qui! E quando ci dicono “vai via!” questo è brutto perché non siamo venuti qui in vacanza, ma è anche uno spreco per la società perché anche noi abbiamo tanto da mettere in comune.

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