Mariella Bettarini, La poesia o basta a se stessa o non è

 

 Sin dai lontanissimi anni Cinquanta dello scorso secolo, sul loro finire ed anche prima – all’Istituto Magistrale che frequentai a Roma, dove letteralmente mi innamorai di Leopardi -, ho “frequentato” la poesia, sia quella da me tentata (scritta…), ma soprattutto quella dei poeti – uomini e donne – più o meno grandi, italiani e non. Poesia-mia salvezza, in una situazione familiare in quegli anni molto difficile, dolorosa. Poesia-mia salvezza – dicevo – mio primo, costante humus vitale, e subito – e insieme – prima e feconda occasione di incontri, scambi, cooperazione, piuttosto che di conflitti, gare, competizioni (dopo alcuni anni da allora lasciai definitivamente il mondo – e il metodo – dei premi letterari).

In quei remoti anni Cinquanta, a Roma (dove allora vivevo con la famiglia, tornata poi a Firenze, mia città natale), scrissi centinaia di simil-poesie, quasi tutte di matrice intensamente religiosa, poi – dal Sessantotto in avanti – soprattutto di argomento etico, civile.

Nel 1973, in un post-Sessantotto di disperate speranze, con la collaborazione di Silvia Batisti, poi di altre amiche ed altri amici, diedi/demmo vita alla rivista Salvo imprevisti, che portava il sottotitolo quadrimestrale di poesia ed altro materiale di lotta. Autogestita, praticamente autofinanziata, monografica, con temi come Poesia e inconscio, I bambini/la poesia, Poesia e teatro, Poesia e follia, Dino Campana oggi, Del tradurre e così via, la rivista vide sempre strettamente connessi la mia personale ricerca etico-estetica con la ricerca, l’esperienza etico-culturale di altre persone (prima che poeti e scrittori), in una comunitaria, non competitiva passione insieme letteraria e sociale. (Dal 1992, poi, Salvo imprevisti ha preso il titolo L’area di Broca, semestrale che tratta anche temi scientifico-conoscitivi, oltre che poetico-letterari).

Detto ciò, proseguirò velocemente in questo iter per dire delle Edizioni Gazebo, ideate nel 1984 da Gabriella Maleti, che me le propose, ricevendo la mia immediata adesione. Gazebo: piccolo edificio all’aperto, luogo d’incontro, di dialogo fuori dal chiuso della cultura accademica, tradizionale, fuori dagli steccati, dal dualismo poesia-prosa, scrittori noti-ignoti, parola-immagine, e così via. Sinora (luglio 2016) sono usciti 243 titoli. Le tre Collane della Gazebo (di poesia e prosa creativa, e in piccola parte anche prosa critica) sono sempre state alla ricerca di voci nuove, di qualità, voci spesso ignorate dalla cosiddetta grande editoria, voci di chi rischia di cadere in balìa di sedicenti editori che sfruttano la non-informazione, l’idealismo, il bisogno di espressività da parte di poeti e scrittori, giovani e meno giovani.

Ma veniamo all’oggi della poesia. Che pensare? Che dire, dirne? Il tema è davvero gravido di problemi (il tema stesso è un problema…), carico di dubbi, interrogativi, questioni (insolubili?). Soprattutto il tema poesia, oggi, è – a mio avviso – colmo di false soluzioni, falsi superamenti, false risposte.

Che cos’è la poesia? E dov’è la poesia? Dove sta andando la poesia? Che fare, oggi e qui, visto soprattutto l’espandersi ormai virale (orrendo aggettivo, spuntato chissà da dove, virale anch’esso…) dei mezzi ipertecnologici, di parole d’ordine (prime fra tutte i superficiali mi piace) e situazioni oramai inderogabili come l’immane carenza di critica, di indagine testuale, di serietà e severità stilistiche (come se esistessero solo i contenuti. E poi neppure quelli…)? Che interesse può suscitare oggi la poesia? Che ruolo avere in questo iper-iper-tecnologizzato mondo fatto da una parte di interessi iper-egoistici, iper-economici, dall’altra di buia disperazione, terrorismo, guerre, razzismo, fame, morte? Che ruolo può muovere la poesia in una simile condizione di vita?

Credo che tentare di rispondere adeguatamente sia quasi impossibile, tanta è la mole dei problemi che da tutte le parti ci assillano e che la cultura non può risolvere (né, tantomeno, la cultura poetica). Eppure, senza cultura, senza letteratura, senza poesia, arte e via dicendo; senza il rovello e la indispensabilità della conoscenza (letteraria, artistica, filosofica, scientifica) niente può essere davvero affrontato, né – ancor meno – risolto. Certo, se la poesia viene pensata (e così avviene da parte dei più) come un diversivo, un vuoto svago, uno sciocco luogo di sogni e fuga dalla realtà, come pura e semplice inutilità, pensata e scritta da e per anime belle, è chiaro che il suo valore, la sua presenza, la sua indispensabilità saranno sempre più misconosciute e deprezzate.

Dunque, che fare? Domanda (quasi) irresolubile. Questione difficilissima. Certo – per chi può e vuole – è bene proseguire a scrivere versi, a scrivere in versi senza, però, alcuna illusione se non la certezza di star adempiendo a qualcosa di per sé necessitato e senza illusione alcuna che questo venga valutato dai più (del resto, il termine poesia non significa etimologicamente inventare, produrre, fare?). La poesia – da sempre – o basta a se stessa, o non è. Poesia che non vuole per forza premi, alti riconoscimenti, schiere di lettrici e lettori…

In questa precisa linea (certo ardua e talora molto insoddisfacente dal punto di vista psicologico) si è sempre mossa la poesia di Gabriella Maleti, della quale – poesia e persona – vorrei parlare per tentare di concludere questa mia breve riflessione.

Gabriella Maleti è, purtroppo, venuta a mancare quest’anno, il 27 marzo, giorno di Pasqua, dopo una brevissima malattia. Era nata a Marano sul Panaro, in provincia di Modena, il 22 maggio 1942. Dopo aver trascorso in Emilia l’infanzia e l’adolescenza, visse a Milano con la sua famiglia di origine contadina. Nel 1981 venne a vivere a Firenze, dove da allora ha sempre abitato, scrivendo poesia e prosa narrativa, essendo fotografa autrice di straordinarie immagini e realizzando una trentina di video-documentari e veri e propri video-film brevi di grande efficacia.

Del suo lavoro in versi così scriveva Mario Luzi sin dall’anno 1988 nella lettera-prefazione al libro Memoria (edito da Gazebo): «Lampi di verità umana svelata inopinatamente, quasi proditoriamente, traversano il testo in parecchie direzioni. […] Nella scrittura si risolve tutto il suo fervore, il suo dolore: non per un alibi trovato, non per stregoneria liberatoria, ma perché l’assurdo e l’incompreso si umanizzano nell’essere detti o inseguiti dalla dizione felice se non altro di questa vittoria. Lei lascia arbitra del discorso la febbrilità ritmica, verbale, da lei scatenata […] Un aumento vitale della lingua mi pare il suo atout, il suo speciale talento. E si può immaginare quanto lo senta congeniale alle mie stesse ambizioni».

Dal 1977 Gabriella Maleti ha pubblicato tredici libri di poesia (oltre a molti in prosa), due dei quali in dialogo con la sottoscritta: Il viaggio (Gazebo, 1986) e Nursia (Gazebo, 1999), mentre un terzo libro, Trialogo (Gazebo, 2007) anche con la presenza dei testi poetici di Giovanni Stefano Savino. Inoltre, ancora tre di questi suoi lavori di poesia sono consultabili come e-book sul sito www.larecherche.it (sito che si deve alla grande esperienza e cura di Roberto Maggiani e Giuliano Brenna): si tratta di Fotografia, 2007 (testo precedentemente uscito con Gazebo nel 1999), Esperienza (2011) e Vecchi corpi (2015).

Concludendo, a voi, gentili lettrici e lettori, buona lettura e buona poesia.

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