Premio “Sergio Pannocchia” 2018. 2° Classificato: Gianluca Cedolin

Gianluca Cedolin

Schmeling scatenato. Peripezie e battaglie del pugile che viveva alla rovescia

(pubblicato su www.yanezmagazine.com, il 13 giugno 2017)

 Low blow significa colpo basso, sia fisico, sia psicologico. Nella vita, quando prendi un colpo basso, che sia un calcio ben piazzato o una batosta amorosa, tendenzialmente non sei felice. Se però il tuo nome è Max Schmeling, e un colpo basso ti porta sul tetto del mondo, allora il discorso cambia. Altre volte, diversamente, anche se sei sul ring a combattere per il titolo di campione del mondo, ti conviene perdere l’incontro, se non vuoi diventare un’icona del nazismo. Tutto è il contrario di tutto nella vita di questo pugile tedesco tra i migliori della storia, scomparso nel 2005, a novantanove anni, di cui quasi trenta passati facendo a cazzotti sui ring europei e americani, uscendone spesso vincitore. Conquista il titolo mondiale, ma lo chiamano ladro e perdente. Perde quella cintura, e viene lodato per mesi da mezzo mondo. Salva due ragazzini ebrei dallo sterminio dell’Olocausto, ma lo definiscono un nazi-puppet. Vive alla rovescia Max Schmeling, protagonista di una vicenda sportiva e personale in cui carriera e storia viaggiano per larghi tratti legate a doppio filo.

Nasce a Klein Luckow nel 1905, un paesino nel nord della Germania a cinquanta chilometri dalla polacca Stettino, che quando lo cerchi su Google Maps vieni portato dritto a Max Schmeling Straße, la via principale. In questa cittadina, che oggi conta meno di trecento abitanti, il giovane ragazzino tedesco si innamora della boxe, e in particolare di Jack Dempsey, al cinema.

Il padre lo porta a vedere il match che vale il titolo dei pesi massimi tra Dempsey e Georges Carpentier, un eroe francese della prima guerra mondiale; è il primo incontro della storia con copertura radio live: si combatte in New Jersey, di fronte a oltre novantamila spettatori. Nonostante una partenza in sordina, dopo aver rimediato un pesantissimo destro nel secondo round, Dempsey scarica qualcosa come venticinque pugni in trenta secondi al suo avversario, che rimedia anche una frattura al pollice. Al quarto round Dempsey si aggiudica il match, mantenendo la cintura e facendo innamorare di lui il piccolo Max Schmeling, che decide di dover emulare a tutti i costi le gesta del suo campione. Nel 1924 conquista il primo titolo, quello di campione di Germania nella categoria mediomassimi, a livello ancora amatoriale. Il salto nel professionismo arriva poco dopo, ma non sembra condizionare particolarmente le prestazioni di Max, che vince diciassette dei suoi primi ventidue incontri, mandando il proprio avversario al tappeto in ben tredici occasioni.

Se sei una persona normale, non puoi aver combattuto nel “match del secolo” e nella “battaglia dei continenti”, non puoi essere un modello, un attore, un cantante, un divo sposato con una star del cinema, ma invecchiare in un casolare nella quiete boscosa dell’amburghese. Ma se ti chiami Maximillian Adolph Otto Siegfried Schmeling e vivi sulle montagne russe, puoi conoscere Roosvelt e conquistare i cuori degli americani per poi, due anni dopo, essere accolto da una selva di contestatori al molo di New York, pronti a chiedere la testa del pupazzetto del terzo Reich.

A dire il vero, l’Ulano nero del Reno, come viene chiamato Schmeling, non ci tiene particolarmente ad essere un personaggio controverso. Gli piace spassarsela nella Berlino dei ruggenti anni ’20 e nella New York della rinascita e del New Deal degli anni ’30, gli piace combattere match in palazzetti gremiti, ma rinuncerebbe volentieri ad essere lo strumento di un delicato intrico diplomatico.
Come nel caso del match del secolo, contro Joe Louis, uno scontro ideologico prima che pugilistico, del quale anche all’epoca vengono scritti fiumi di parole. Ma prima, facciamo un passo indietro e vediamo come arriva Schmeling alla doppia sfida di fine anni ’30 contro il pugile afroamericano.

Poco dopo il primo titolo amatoriale, Schmeling passa al professionismo. I successi non tardano ad arrivare: campione di Germania tra i mediomassimi nel ’26, con vittoria per ko al primo round contro Max Diekmann; campione europeo l’anno seguente, dopo aver battuto Fernand Delarge nel primo match trasmesso in diretta radio in Germania; campione tedesco dei pesi massimi nel ’28, ai danni di Franz Diener. Che altro gli resta da fare, se non preparare i bagagli e imbarcarsi alla volta degli Stati Uniti, dove cercare nuove sfide?

Per questo, anche se al tempo la transoceanica non è proprio una passeggiata (mancano ancora vent’anni al primo collegamento Londra-New York con un aereo passeggeri), l’Ulano nero si imbarca per la terra promessa con grandi aspettative, che vengono subito ripagate con un esordio da urlo in uno dei templi della boxe mondiale. I primi mesi a dire il vero sono però difficili: nessuno considera all’altezza del palcoscenico americano quel tedesco scuro di carnagione e quel suo modo quasi scientifico di tirare di boxe, almeno fino a quando Max non riesce ad ingaggiare Joe Jacobs come agente.
Il nuovo collaboratore gli procura un match al Madison Square Garden, nel quale Schmeling non delude le aspettative e manda ko Joe Monte dopo otto round di buon livello. La vittoria del primo febbraio 1929 contro il quotato Johnny Risko, che va ko per l’unica volta in vita sua dopo essersi rialzato almeno tre-quattro volte, vale a Max Schmeling una citazione nel prezioso magazine The Ring, che attribuisce al match il titolo di “Fight of the Year”.

I tempi sono maturi per una grande sfida, e il ritiro del campione del mondo dei pesi massimi Gene Tunney non fa che favorire Schmeling. Viene fissato un incontro allo Yankee Stadium tra Max Schmeling e Jack Sharkey per il 12 giugno 1930: la posta in palio è la cintura di campione del mondo. Si tratta di una sfida in cui si incontrano due stili diversi di boxe, due generazioni diverse, due continenti diversi. È la “batttle of the continents”: il veterano americano Sharkey contro il giovane europeo.

Al quarto round di un match abbastanza equilibrato, con Schmeling che sta iniziando a prendere il sopravvento dopo il solito inizio silente, Sharkey lascia partire un colpo fortissimo dritto all’inguine del tedesco, che si accascia dolorante sul ring. A questo punto si scatena un parapiglia, e l’intervento del manager Jacobs sul quadrato convince l’arbitro a decretare la vittoria di Max Schmeling. A soli venticinque anni, a due anni dal suo arrivo in America, il ragazzo di Klein Luckow diventa il primo tedesco della storia a indossare la cintura più prestigiosa, oltre che il primo europeo a salire sul tetto del mondo dopo oltre trent’anni.

Nonostante questo, e nonostante la conferma della decisione arbitrale da parte della New York State Athletic Commission, Max non viene ritenuto meritevole della cintura, ma padrone di un titolo di cartone, non guadagnato sul ring. In molti iniziano a chiamarlo “Low blow champion”, e quando lui inizialmente non acconsente alla rivincita, anche la NYSAC smette di considerarlo campione del mondo (mentre la National Boxing Association continua a ritenerlo tale).

Max dal canto suo lascia che sia il ring a parlare, e zittisce le malelingue con una gran vittoria per ko tecnico, arrivata dopo ben 15 round, contro Young Stribling, uno che fino a quel momento ha vinto qualcosa come duecentotrentanove incontri.

La sconfitta nel rematch contro lo stesso Stribling, dopo una decisione arbitrale molto contestata, spoglia Max della cintura di campione del mondo, ma capovolge il suo indice di gradimento tra i fan americani, facendolo passare da ladro a derubato e soprattutto mettendo a tacere una volta per tutte i dubbi sullo straordinario talento del tedesco.

Siamo di nuovo al main plot della vita alla rovescia, delle vittorie sul ring che sono sconfitte personali e delle battaglie perse sul quadrato che diventano successi nella vita di tutti i giorni. Una sconfitta, in particolare, lo salva dal trasformarsi definitivamente in eroe ariano.

Siamo in un periodo in cui l’aria sta iniziando a cambiare nel mondo. Nel 1933, con un plebiscito popolare, Adolf Hitler diventa cancelliere di Germania. Siamo solo agli inizi dell’escalation di violenza e soprusi che verranno perpetrati dal regime, e Schmeling (come molti in Germania) non si schiera immediatamente contro i nazisti: un errore di valutazione comune purtroppo a milioni di altre persone.
Tre anni dopo, nell’anno delle Olimpiadi di Berlino, l’apice della propaganda sportiva nazista, a settemila chilometri dalla capitale tedesca va in scena il primo incontro tra Max Schmeling e Joe Louis. Una sfida che, pur non avendo ancora i connotati di storico-ideologici della “battaglia del secolo”, che i due combatteranno due anni dopo, mette di fronte un pugile tedesco della Germania nazista e un giovane afroamericano, orgoglio dell’America nera che combatte il razzismo.
Sulla carta, non dovrebbe esserci partita: the Brown Bomber ha uno score di 23 vittorie e 0 sconfitte, si prepara al match giocando a golf a Lakewood, nel New Jersey, e Schmeling sembra essere solo l’ultimo ostacolo tra lui e un match per la cintura di campione del mondo.

Il tedesco tuttavia, che nel frattempo rifiuta l’invito del Führer di licenziare il proprio manager Jacobs in quanto ebreo, si prepara con la solita cura scientifica dei dettagli, individuando anche una leggera debolezza nell’esplosivo stile di Louis: l’abitudine ad abbassare leggermente la mano sinistra dopo un jab. A trent’anni, Schmeling non si sente sconfitto in partenza: anzi, ai giornalisti dichiara di sapere come battere il suo avversario. Pretattica?

Il 19 giugno 1936, Max Schmeling e Joe Louis incrociano per la prima volta i guantoni in uno Yankee Stadium che straripa di gente, agli ordini del leggendario arbitro Arthur Donovan. Sin dalle prime battute, il tedesco fa soffrire Louis, che al quarto round finisce al tappeto per la prima volta nella sua carriera, senza gettare subito la spugna. Ma anche nelle riprese successive la boxe di Schmeling resta un rebus irrisolto per il Brown Bomber. Un pugno ben assestato sull’occhio del ragazzo dell’Alabama contribuisce a portare altra acqua al mulino di uno Schmeling che con il passare dei minuti spazza via ogni dubbio.

Alla dodicesima ripresa, con due destri terrificanti, Joe Louis viene mandato ko da Schmeling, unico a riuscire nell’impresa assieme, quindici anni dopo, alla giovane stella nascente della boxe anni ’50: un certo Rocky Marciano. La caduta di Louis rappresenta un duro colpo per gli americani. Langston Hughes racconta in termini quasi apocalittici le reazioni del popolo statunitense nell’immediato post match: “Camminavo per la Settima Strada quando vidi uomini adulti piangere come bambini, e donne sedute sul marciapiede con la testa tra le mani. Quella notte in tutto il paese alla notizia del ko di Joe la gente pianse”.

Se gli americani si strappano i capelli per la caduta del loro uomo, in Germania Schmeling diventa un dio. Gli viene riservato un posto sullo zeppelin Hindenburg per il ritorno in patria, a due mesi dalle Olimpiadi di Berlino, dove viene accolto dal Führer in persona assieme a sua madre e a sua moglie. Nel 1930 infatti il pugile tedesco ha sposato l’attrice ceca Anny Ondra, che si dice sia stata la prima musa bionda di Alfred Hitchock: i due rimarranno insieme fino alla morte di lei, avvenuta nel 1987, preferendo l’agricoltura e l’allevamento in una tenuta nei boschi vicino ad Amburgo ai lussi che due star come loro potrebbero permettersi. Proprio ad Anny, Adolf Hitler fa recapitare un messaggio: “Mi congratulo con te con tutto il mio cuore per la vittoria di tuo marito, il nostro miglior pugile”.
Con la vittoria su Louis, Schmeling diventa il mito sportivo della Germania nazista, il pugile della svastica. E pur non avendo mai dimostrato di avere idee affini al nazifascismo, alla supremazia della razza ariana e alle altre follie hitleriane, non si schiera apertamente contro il regime, ma anzi, nelle dichiarazioni post-match alla stampa, ringrazia il Führer e afferma con orgoglio di aver combattuto per la Germania. Forse anche per questo, oltre che per la martellante propaganda portata avanti da entrambe le parti, gli americani non gli riservano un’accoglienza particolarmente serena nei giorni precedenti la rivincita del 1938.

La rivincita, appunto: l’incontro del secolo, un clash of civilizations in cui la posta in gioco va oltre la cintura di campione mondiale dei pesi massimi. L’America libera, progressista e multiculturale sfida la Germania razzista e guerrafondaia. Se non basta la tensione di vedere sul ring due pugili fortissimi e molto diversi per stile e background, ci pensa la politica a caricare di significati il match. Il presidente americano Franklin Delano Roosvelt riveste Louis di un leggero onere: “Abbiamo bisogno dei tuoi muscoli per battere la Germania”. Lo stesso Brown Bomber, che l’anno prima ha sconfitto Braddock e conquistato la cintura di campione del mondo, dichiara pubblicamente di non potersi sentire campione prima di aver battuto Max Schmeling. Dall’altra parte, il Führer e il ministro della propaganda Goebbels vogliono che il match sia la dimostrazione della superiorità della razza ariana e della Germania sugli afroamericani e sul mondo intero. Nei giorni che precedono il combattimento, gira addirittura voce che Adolf Hitler sia pronto a nominare Schmeling ministro dello sport in caso di vittoria.

E se all’arrivo al molo di New York servono le forze dell’ordine per salvare Max dall’ira dei tifosi americani, l’atmosfera che si respira il 22 giugno 1938 allo Yankee Stadium è da brividi: 70mila persone, tra cui star del jet set come Clark Gable e Gary Cooper, un incasso record da oltre un milione di dollari, e soprattutto un assordante tifo pro Joe Louis e contro Max Schmeling, il nazista traditore, che all’ingresso viene sommerso di insulti e di oggetti lanciati dagli spalti.

Sul ring, non c’è storia: è un monologo di Joe Louis, che rifila 41 pugni al tedesco, di cui 31 a segno, mentre Schmeling riesce a colpire solo due volte l’avversario. Dopo due minuti e quattro secondi di agonia, il tedesco viene sbattuto a terra per la terza e decisiva volta. Un trionfo totale del Brown Bomber, che fa impazzire l’America e manda dritto all’ospedale Max Schmeling, costretto a letto per dieci giorni con diverse vertebre fratturate.

Louis diventa il simbolo statunitense, il beniamino di tutta l’America, che scende in strada a festeggiare il suo eroe con canti e balli di giubilo. Schmeling, al contrario, smette di essere promosso come idolo nazionale dal regime nazista: pochi mesi dopo, nella sanguinosa e drammatica Notte dei Cristalli, fra il 9 e il 10 novembre 1938, l’Ulano nero tiene nascosti all’Hotel Excelsior di Berlino due ragazzini ebrei, salvandoli dalla scure della Gestapo.

Per punirlo dell’umiliante sconfitta, Hitler lo costringe ad arruolarsi tra le fila dei paracadutisti, non prima che Max abbia dimostrato di saperci ancora fare sul ring, conquistando il titolo europeo dei pesi massimi contro Adolf Heuser, spedito ko al primo round. Dopo la guerra, Max calca ancora i ring tedeschi per dei match di esibizione, prima di appendere definitivamente i guantoni al chiodo, nel 1948, e iniziare a lavorare per la Coca Cola, pur continuando a seguire la boxe con passione: anni dopo dichiarerà che perdere contro Louis nel 1938 gli ha probabilmente salvato la vita.

Schmeling e Louis, nemici per obbligo, con il tempo hanno sviluppato un’amicizia da film (nel vero senso della parola, con l’uscita del tv-movie Ring of Passion del 1978). Max va ogni anno a trovare Joe in America, e anche quando l’ex idolo afroamericano inizia ad avere problemi con la droga, Schmeling non gli fa mai mancare il suo supporto. Fino al 12 aprile 1981, quando Joe Louis scompare, e Schmeling paga le spese del suo funerale.

Strana la vita: ti ritrovi a portare in spalla, commosso, la bara del pugile contro cui hai combattuto il match del secolo, dell’uomo che secondo la logica, secondo tutti, avresti dovuto odiare. Ma tu sei Max Schmeling, e vivi al contrario, e con Joe Louis preferisci berti una birra, piuttosto che fare a cazzotti.

http://www.yanezmagazine.com/schmeling-pugile-nazismo/

 

 

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