Non c’è più religione (dialogo sulla morale) di Marco La Rosa

Amico mio – Si fa un gran disputare, cara signora, sul fondamento dell’etica. E poiché più nessuno parla di Dio…

Cara signora – Che brutta fine, amico mio. La sua onnipresenza è ridotta a scoloriti proclami sulle autostrade e a stanche comparsate nelle ultime scialbe bestemmie.

A.m. – Appunto. Per cui questo della morale rimane, fra i Massimi Sistemi, il più massimo di ogni altro. Oltretutto se Dio ci fosse la questione non si porrebbe e il fondamento del nostro agire sarebbe certo. Non un dio qualunque però. Legati a un dio trascendente e lontano, o distratto come quelli pagani, non avremmo utili indicazioni per il nostro che fare.

C.s. – E allora?

A.m. – Per fortuna già nell’età del bronzo qualcuno si è accorto della necessità di un Dio Rivelato, che ci parli, che ci guidi e se del caso, cara signora, ci mandi qualche piaga d’Egitto.

C.s. – Che nostalgia, amico mio. Vivere in un mondo saturato di senso. Vivere in un Creato!

A.m. – Ma oramai non c’è più religione, cara signora. Dobbiamo inventarci qualche altra cosa.

C.s. – Che ne direbbe della Ragione?

A.m. – La Ragione? Mmm… sì. Temperando egoismi e istinti dovrebbe trovare il giusto equilibrio fra la nostra libertà e quella degli altri. Su questo potremmo fondare la nostra morale. Sì, potrebbe funzionare. Basterà convincere questa Ragione a correggere due o tre imperfezioni…

C.s. – Imperfezioni? Che imperfezioni?

A.m. – Lei certo sa, cara signora, che due terzi dell’umanità sono costretti alla fame affinché io e lei, inzuppando le nostre brioches nel cappuccino, possiamo leggere comodamente che la borsa è crollata perché c’è troppo poca disoccupazione.

C.s. – Dia tempo al tempo, amico mio; la Ragione è al potere da neanche trecento anni. Il suo sarcastico pessimismo è fuori luogo. La Storia mostra il continuo progresso dell’umanità verso la realizzazione, sia pure un lontano domani, di una società senza disuguaglianze. Ecco: che sia proprio la Storia il fondamento che stiamo cercando?

A.m. – Ma purtroppo la Storia, cara signora, è la storia del vincitore e, quindi, del senno di poi. Mi piacerebbe sapere chi la spunterà, per attaccarmi al suo carro e avere così il mio fondamento morale, ma non sempre riesco a indovinare. A parte il fatto che è un po’ arduo inquadrare in un disegno storico, sia pure dialettico, i campi di sterminio e gli altri eccidi cui periodicamente si dedica l’umanità. La Storia mi sembra più il regno del caos che della morale.

C.s. – Lei è incontentabile, amico mio. Non so più cosa inventare. Che ne dice dell’Istinto di Conservazione? Troppo triviale, vero? Allora la Comune Appartenenza alla Medesima Specie, magari mescolata con quella storia dei geni del nostro corredo cromosomico che vogliono salvare se stessi. Questo dovrebbe piacerle: un fondamento biologico della morale mi sembra pratico, anche se poco elegante.

A.m. – E la guerra? gli eccidi? il razzismo? l’inquinamento? È questo il modo in cui i geni salvano se stessi? Nel mondo della tecnica il concetto di Specie Umana mi pare impraticabile. Oramai sono state scatenate forze…

C.s. – Non si metterà mica a lamentarsi delle lucciole che non si vedono più? Uffa, sta diventando noioso, amico mio. Io dico che questo è il migliore dei mondi possibili. Abbandoniamoci alla sua evidente Necessità e facciamoci travolgere felicemente dalla corrente.

A.m. – Cara signora lei vuole farmi tornare bambino, quando la notte sotto le coperte, terrorizzato da mostri immaginari, mi facevo mostro io stesso per stare dalla parte giusta.

C.s. – E allora la morale non c’è, tutto è permesso e la questione finisce qua.

A.m. – Ma come sappiamo, e lo sappiamo benissimo, cosa è il bene e il male? Perché sento rimorso o, raramente, felicità? Perché provo slanci d’amore per gli altri? Perché non rovescio sopra il selciato ogni donna che lusinga i miei sensi?…

C.s. – Guardi che c’è chi lo fa.

A.m. –…perché non arraffo tutto quello che voglio?

C.s. – Che le devo dire. C’è chi ha trovato la regola della morale nella consapevole finitezza dell’uomo.

A.m. – E questa dove l’ha letta?

C.s. – Non lo so… l’Espresso… forse la Stampa… o su una rubrica del Grandevetro.

A.m. – E di che si tratta, con precisione?

C.s. – Non credo di avere capito del tutto, ma comunque: l’uomo sa di morire, allora si rivolta per avere, qui e ora, un risultato anche piccolo di giustizia e di libertà.

A.m. – La morale della rivolta. Mi sembra un po’ troppo semplice. E poi… cosa è giusto?

C.s. – Forse se l’uomo sa di morire, se non c’è niente nell’universo che lo renda speciale, se si accorge che ogni tentativo di raggiungere una assoluta verità lo porta al massacro o in un vicolo cieco… bè, allora guarda il prossimo suo e, se non l’ama proprio come se stesso, almeno ne ha compassione.

A.m. – Cara signora lei mi delude; la montagna ha partorito il topolino.

C.s. – Ha ragione, amico mio. Ma ora basta; si serva ancora un po’ di crème caramel.

1 Commento

  1. Forse si ha ancora più compassione per se stesso che per il prossimo. Non si ha neppure la possibilità di accorgerci che esiste anche l’altro. Lo vediamo col covid, l’altro è una serie di numeri che si aggiornano giornalmente. Complimenti a Alfonso Iacono, di cui ho apprezzato molto il suo contributo nell’incontro ARIELE, di cui sono socio. Grazie.

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