I NOSTRI FIGLI di Marco La Rosa

Mi ricordo quando con il mio babbo e la mia mamma siamo andati all’arena a vedere Il Ciclone, e c’è quella scena ganzissima del vecchio che si fa una canna insieme agli autisti del pulmino delle ballerine spagnole. Il mio babbo, e anche la mia mamma, si buttavano giù dalla seggiola per le risate. Ma quando hanno trovato il vaso della maria giù nell’orto, e cazzo se l’avevo nascosto bene fra le azalee, non ridevano mica per niente e mi hanno preso a ceffoni e niente più né motore né soldi per almeno un mese.

Il prof di diritto dice sempre che lui lo pagano anche se non fa una sega nulla. Si siede lì tutta l’ora e legge il giornale, prima però mette uno nel corridoio per vedere se viene il preside. Allora, dico io, perché poi si è incazzato come un gorilla quando alla conferenza sull’educazione alla legalità abbiamo fatto casino? E ha anche detto: “Siete tutti degli stronzi, non avete alcun senso civico e agli scrutini vi faccio un culo così!” E difatti poi si è inventato tutti i voti da quel pezzo di merda che è, e col cazzo che il mio babbo c’ha creduto quando gli ho dovuto portare la pagella.

L’altro giorno al bar c’era Gino in licenza che ci ha raccontato dei nonni, che sarebbero quelli più anziani e hanno il permesso di fargli delle torture, tipo gavettoni di merda e stare lì nudi sull’armadietto. Loro sono andati a protestare dal capitano, ma quello gli ha detto la tradizione, la disciplina e ubbidire che non erano signorine. Ma quando uno si è buttato dalla finestra altro che signorine, tutti si cacavano sotto. E devo anche chiedere alla prof di italiano se c’entra qualcosa la ricerca sulla disubbidienza agli ordini sbagliati e quel tedesco… Prikke… Pribbe… che non mi ricordo più che aveva fatto nella seconda o terza guerra mondiale.

Prima di andare in campeggio il mio babbo con la faccia dura tipo Giòn Uéin mi ha chiesto se nello zaino avevo niente per la mia sicurezza, allora io gli ho detto di sì, che avevo il coltello svizzero a trentacinque funzioni che mi ha regalato a Natale. Lui mi ha guardato un po’ strano, poi si è messo a ridere e mi è sembrato più tranquillo di prima. Dopo cena l’ho sentito che diceva a mia madre: “Guarda, non c’è da preoccuparsi”, e quando gli ho chiesto di uscire mi ha detto: “Vai vai”. Meno male, perché quella sera fu la prima volta con Gianna.

La prof di italiano ci ha fatto una lezione sui dialetti e sulla nostra identità culturale. Io non so se ho capito bene, ma è come se uno dicesse che va bene parlare italiano, ma insomma i nostri nonni con il dialetto, anche se erano degli analfabeti e dei contadini, la loro cultura e così via. Allora di sera siamo usciti con Gianni, Pino e il Potta e appena abbiamo visto un marocchino ai giardinetti lo abbiamo stangato per bene e poi buttato dentro la vasca, perché lui i suoi nonni una sega. Ma la prof, che i marocchini rompono un casino anche a lei, non ci ha mica spiegato perché ci hanno portato in questura.

Anche quest’anno il prof di diritto per prima cosa ci ha detto: “Delinquenti, chissà che farete nella vita.” Io ho già deciso. Da grande faccio il mercenario in Africa o il boia in America. Lo spacciatore no, perché il mio babbo mi ha detto che mi ammazza di botte.

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