THIN di Marco La Rosa

Per una qualche ironica catastrofe metafisica l’Universo è collassato fino a ridursi a una sfoglia dello spessore di cinque millimetri, costretta fra due lastre rigide di infinita estensione. Non so di quale dura materia siano fatte le lastre, se di acciaio, diamante, neutroni o non-essere. Fra queste due lastre, il cui spessore è sconosciuto ma sicuramente smisurato, io mi trovo compresso senza possibilità alcuna di movimento, senza sapere se altri, lontani o vicini, siano incastrati con me. In corrispondenza della mia bocca c’è un foro dai bordi netti e taglienti, come se fosse stato inciso da un laser; il foro è piccolo, ha le dimensioni e la forma di una celletta di alveare. Stretta fra i denti ho una cannuccia, sottile e delicata come un calamo d’erba; è una penna, in qualche modo lo so e la sto manovrando con difficoltà attraverso il foro di immensa lunghezza, nel tentativo di stilare, aldilà della lastra incommensurabile, un messaggio. I movimenti che posso impartire alla cannuccia sono anchilosati, impercettibili e lenti, e a ognuno di essi l’Universo si fa più stretto. Non so se all’uscita del foro, a infinita distanza davanti a me, qualcuno abbia messo un foglio (basterebbe un coriandolo) sul quale la penna possa tracciare i suoi minutissimi ghirigori. Non so neanche, data la flessibilità della cannuccia, se i movimenti che le impartisco si trasmettano per tutta la sua lunghezza, né se, aldilà della lastra, qualcuno ci sia. Sto soffocando. Il mio messaggio, reiterato con disperazione, è: per favore qualcuno mi uccida. Poiché l’Universo è verticale, il sudore il sangue la claustrofobia spremuti dalla mia carne gocciolano sotto di me, perdendosi nell’infinito. Ho paura. Non so cosa mi spaventa di più: la costrizione, la solitudine o la frustrazione del mio armeggiare con la cannuccia. Sono perfettamente lucido. Se questo fa sì che io mi renda conto con puntualità della situazione, purtroppo non mi aiuta ad affrontarla razionalmente. Il fatto è che in questo Universo non c’è spazio, alla lettera, per la razionalità; il pensiero, privato della libertà che gli è necessaria, ha perso la sua capacità speculativa ed è degradato a un coatto flusso di impulsi che attraversano caoticamente ciò che ora è il mio corpo. Quindi sono in preda al panico e posso solo enumerare le poche cose che so: la lastra infinita dietro di me, quella davanti, il foro, la cannuccia, la mia costrizione, la mia solitudine, la mia paura e poi daccapo. Per favore qualcuno mi uccida.

 

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