Incidentale (Torino)

Incidentale
di Claudia Ciardi

Domenica sfolgorante sopra Torino. Sole pastello d’inizio pomeriggio che ridisegna le facciate delle case in una tela di linee perpendicolari, mediane e secanti tra superfici uguali soltanto in apparenza. Un’illusione geometrica protesa, asservita, gridata con l’unico scopo di martellare e non lasciare scampo a chi scende dalla periferia, addentrandosi nell’ormai lento ed esausto cuore della metropoli. Questo vivere in verticale, infinitamente replicato, che vorrebbe dire freddezza o scontento, ma se così fosse, se solo fosse così, non ferirebbe a quel modo, quando lo sguardo sosta sulle balconate chiuse o gli sbiaditi cornicioni. L’idea di qualcosa d’inespresso e perduto che pure continua ad aggirarsi per quelle forme glabre, desertificate, assottigliate da troppe rinunce e dimenticanze abbaglia, prostra il passante, fino a una fastidiosa caduta.
E in questo dondolio di mille asimmetriche cose determinate a blandirmi, se non a ghermire addirittura, l’ho vista, la fabbrica della Thyssen dove morirono in sette. Un turno come un altro, entrati, morti. Morti in quelle simmetrie scannate dall’indifferenza che poi si straccia le vesti, dopo però, sempre un attimo dopo quell’attimo che non si rimedia. Perché ciò che si dice fatale troppe volte occulta, è la via che intorbida e disincarna e sperde. Ora lì non c’è più nessuno, solo il silenzio martellante dell’assolata domenica di periferia, distratta, smemorata.
L’ho vista anch’io, sì, quella traccia di fatalità nel cieco capannone dell’ignota periferia, cemento su cemento, l’affondo meridiano strisciato sul viale, il sangue cosparso d’irreale. E vicino al semaforo c’era un clown in costume rosso, saltellante tra le auto incolonnate. Aveva gesti abbastanza stonati per il luogo e l’ora, gesti fin troppo lievi con cui offriva i suoi numeri all’invadenza di quel girone. L’abito fiammeggiante si ostinava in un’opera di precaria umanità, chino sui parabrezza mostrando un fiore o intento a scappellarsi come un pavido guitto, ma nessuno che avesse idea di ridere.
Ci volle ancora del tempo prima che la città si ritrovasse nell’indisciplinata grazia dei suoi vezzi storici, o meglio, prima che se ne ricordasse. E fu solo al mercato di Porta Palazzo che infine decise di abbandonarsi a una confessione. Suonò come una cosa tenuta dentro per molto, che avrebbe voluto tirar fuori da chissà quanto, ma le scarse geometrie umane e le ancor più astratte trigonometrie di quartiere sovente avevano impedito che uscisse allo scoperto.
Un bancarellaio sedeva di lato con un occhio ai libri e uno alla folla. Ma siccome non c’era chi si avvicinasse, riprese in mano quell’oggetto camuffato d’antico da cui stava leggendo. Che era antico si capiva dall’ingiallimento della copertina e dalle parole latine vaganti sulla pagina aperta: «cernimus exemplis…» . S’interruppe quasi all’istante. Una sparsa nuvolaglia si era insinuata nell’irriverenza del giorno. Ombre passeggere solcarono il viso di quella incidentale pietà urbana, raccolta attorno al rito posticcio dei saluti affrettati mentre si andava in cerca di chissà quali occasioni. Il verso in bilico tra le vecchie pagine rimase sospeso a mezz’aria. Una pietà tronca, eppure senza accento né impronta. In quel momento un altoparlante gracchiò l’arrivo di un circo, musica strozzata nelle giravolte di un insolito falsetto. Da qualche parte sotto i portici un barbone si stirava nella sua coperta sbiadita, dando il fianco alla grande allucinazione e a tutto il resto. Nel sole indeciso se prendere o meno congedo, a tratti indugiando e perfino frugando sui colli piegati dei passanti, il cartellone pubblicitario simile a un totem stracciato volava alto sopra le teste, indecifrabile e mefitico dio abissale. D’improvviso la folla sembrò ritrarsi, lasciando uno strano vuoto. L’ambulante tirò un respiro, come volesse circoscrivere la tregua: «oppida posse mori», finì dunque di leggere.

(Gennaio 2018)

Claudia Ciardi. Nata nel 1981 e laureata in lettere classiche a Pisa, si dedica da alcuni anni allo studio della cultura tedesca. Dal 2012 gestisce il blog «Margini in/versi», occupandosi di didattica nelle scuole e presso enti e fondazioni.
Ha pubblicato articoli di critica letteraria su diverse riviste italiane cartacee e del web.
Per la casa editrice Via del Vento (Pistoia) ha curato numerose monografie, la maggior parte delle quali dedicate a scritti inediti in Italia di nomi noti della letteratura tedesca come Heinrich Mann, Thomas Mann, Joseph Roth, Robert Musil.
È approdata recentemente alla collaborazione con Stampa Alternativa, per cui è in uscita il volume “Questo più umano amore”, sull’opera letteraria di Lou Andreas Salomé.

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