La politica ha orrore del vuoto | Francesco Colonna

dal numero 97 del gennaio/febbraio 2011

La politica è morta. Una affermazione priva di senso. La politica non lascia vuoti di se stessa. Cambia, si camuffa, arriva perfino al travestimento supremo della non politica. Morta è certamente
la politica alla quale siamo stati abituati in tutto il secolo scorso. E che ha subito il colpo decisivo nel 1989: sbriciolatosi il comunismo, le altre ideologie si sono trovate quasi senza punto di appoggio, almeno in Italia: e in qualche modo, involontariamente, hanno compiuto seppuku, un sacrificio rituale, con tanto di taglio della testa (ideologica). Le ideologie italiane sono sempre state molto più ideologiche che nel resto dell’Occidente, somigliando più a forme ecclesiali che a pensieri politici. Ma così facendo si sono condannate a un esistenza fondata sulla reciproca ostilità,
che aveva anche il compito di riconoscimento implicito e esplicito. Al cadere di una di quelle fondamentali, anche le altre si sono trovate senza avversario e senza sostegno. L’identità era forte
soprattutto nell’essere contro, venendo meno quell’ostacolo, tutti sono finiti per terra, come se spingessero una porta che all’improvviso si fosse aperta.

Il sopravvento l’ha preso chi, più rapido e intelligente, ha saputo ricostruire quella porta che non andava aperta. Infatti l’Italia ha avuto due grandi fenomeni politici: il maggior partito comunista dell’Occidente, e il maggior numero di anticomunisti dell’Occidente alla scomparsa del comunismo (numero mai raggiunto quando il comunismo era ancora vivente). Ma con un grande vantaggio. Con il suicidio delle ideologie precedenti (dottrina sociale della chiesa, socialismo, socialdemocrazia, liberalismo, e perfino parafascismo) è stato possibile inventare la non politica come qualità della politica, arruolando sotto di essa una gran quantità di politici provenienti dalle vecchie ideologie che, con rapidità impressionante, hanno lasciato il bagaglio precedente a lost and found e si sono presentati con abbigliamenti mentali e morali serenamente riciclati. Si dice che solo gli stupidi non cambino mai idea: può darsi, ma su questa base il tasso di intelligenza nazionale è a livelli altissimi.

La prima spiegazione del fenomeno non è poi così difficile. I partiti precedenti spariscono perché i suoi componenti evidentemente non erano poi così attaccati al pensiero che dicevano di professare: il caso più evidente è il socialismo, distrutto non da Mani Pulite, ma dai i suoi stessi adepti che, in quantità consistenti, si sono ritrovati subito accanto con i più convinti nemici del socialismo, e comunque nemici di sicuro dell’idea di fratellanza tra i popoli, uguaglianza dei punti di partenza, rispetto delle diversità e altro.

La seconda è che la fine (presunta ma propalata con energia) della fine delle ideologia ha allargato, fino a renderlo senza confini, il territorio dell’opportunismo. Il devo è sostituito immediatamente da mi conviene: non c’è autorità morale, non ci sono ostacoli al gesto di convenienza. E anche la coerenza, qualità essenziale al tempo delle ideologie, si trasforma in praticità. Sono un tipo pratico, si sente dire, oppure: sono uno che fa. Ma cosa? L’agire non è una qualità in sé, senza un avverbio che lo qualifichi. E così accade che la frase: “Ma questa è ideologia!” diviene un ingiuria pesante, indirizzo di un ottuso che non pensa in libertà ma secondo schemi precostituiti. Geniale. Peccato che dietro la non ideologia si nasconde sempre una bella dose sostanziosa di intolleranza, di prepotenza, di pura convenienza, a dispetto delle argomentazioni.

I partiti ci sono sempre, anche se somigliano a tribù amorfe. Sono senza democrazia interna vera, perché i processi di selezione della dirigenza è ormai fatta di cooptazione. Alcuni, privi di pudore, perfino teorizzano questi meccanismi. I nomi dei partiti ormai si confondono con quelli dei loro leader, perciò la garanzia non è nel pensiero del partito ma nella visibilità del capo, nel suo carisma non politico ma immaginario. Siamo pertanto al livello più basso per qualità politica. Perché in questo campo, come in economia, la moneta cattiva scaccia quella buona. È come buttare una gran quantità di carta moneta contraffatta in una economia sana: nasce una inflazione dove non si capisce più ciò che vale e quanto vale. Viviamo di carta straccia millantata come carta moneta di valore, alla quale però non corrisponde più niente. Quindi la politica non è morta, semplicemente perché è immortale, fintanto che gli uomini vivranno in una qualsiasi comunità. Morta, per ora, è la politica fatta di idee e progetti, di visione del mondo. Oggi la visione è molto più modesta, spesso non arriva oltre il mero interesse personale. In sostanza il conflitto di interessi, un po’ ovunque, è la norma: personale economico, personale politico, ma personale. E i difetti di un tempo sono assurti a caratteristiche tanto che, come si diceva, si arriva a fare sfoggio di tesi e comportamenti che non molto tempo fa avrebbero distrutto chiunque. Anzi il ridicolo che spesso si sfiora o si supera è un contributo alla fama e non all’autodistruzione.

Certo, abbiamo davanti un futuro migliore. Di questo si può stare sicuri. Quel che non sappiamo è: abbiamo toccato il fondo?

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