Nuovo intervento su UMANESIMO MARXISTA E RIVOLUZIONE: Francesco Farina

Trovo nell’ articolo di Giovanni Commare, Marx New Age, interessanti spunti di riflessione. Vorrei soffermarmi su due di questi:
— Umanesimo marxista
— La Comune di Parigi e i riformismi contemporanei.

Umanesimo marxista
Condivido il giudizio su coloro a cui piace “Marx senza la rivoluzione”, su coloro che pensano che “l’unica forma in cui le teorie marxiane possono aver senso oggi è quella di “umanesimo radicale”.
Vi è una grande ipocrisia nella loro proclamazione dei valori dell’umanesimo perché inneggiano all’umanesimo, ma vivono bene nella società di classe che dei valori dell’umanesimo è la negazione e , dopo tutto, la difendono: il fatto che l’Europa si stia trasformando in una fortezza contro i “diseredati della Terra” lo dimostra.
È vero che l’attuazione di un “umanesimo radicale” richiede “una radicale rivoluzione”’ altrimenti “di tutto il lavoro di Marx resta una pappina digeribile da un pubblico New Age”. È necessario riportare il discorso dall’auspicio di un vago “umanesimo” che si realizzerà in un futuro indeterminato e che lascia indenni i privilegi degli sfruttatori, alla realtà dello scontro che tuttora esiste tra padroni e sfruttati,
Ma per rendere autentica una rivoluzione che l’intollerabile ingiustizia esistente, sia a livello locale che globale, sembra rendere necessaria, deve essere ripensata la stessa “epistemologia” del pensiero nel cui ambito il materialismo storico è nato, l’idea di umanesimo si è evoluta.
Continuo a pensare che, come lo fu per Marx, anche ora, per noi, un’idea di “umanesimo “ debba essere posta come finalità dell’azione rivoluzionaria, per evitare che lo sviluppo della società proceda in un cammino senza senso, stravolto dalla “dismisura” della tecnologia. Ma quell’idea di umanesimo che Marx aveva ereditata dalla cultura occidentale è oggi inadeguata a definirne la finalità e deve essere profondamente rinnovata.
Deve rinnovarsi la matrice culturale che l’ha prodotta, perché ogni rivoluzione possibile, se avvenisse utilizzando le stesse categorie di pensiero su cui si è fondato l’universo simbolico della società ingiusta a cui si oppone , finirebbe con il riprodurre, sotto altre forme, una società ingiusta in cui i rapporti di produzione continuerebbero a dividere il mondo tra sfruttatori e sfruttati.
D’altra parte, è proprio del materialismo storico , che non si limita a “spiegare “ il mondo, ma intende “ mutarlo” attraverso l’azione rivoluzionaria “pratica “, considerare le idee sempre in divenire, i concetti non fissi, immutabili, “esistenti già prima del mondo, in qualche luogo”, ma prodotti di cose e di fenomeni reali e pertanto evolventi con lo svolgersi dei fenomeni.
Marx “ riposizionò la cultura erudita in relazione ai fatti economici “ e reinterpretò l’idea di umanesimo riferendola alla liberazione dell’uomo, le cui autentiche facoltà sono oscurate nella società di classe, per cui alcune classi sociali non hanno l’opportunità come gruppo e come singoli di dispiegare il loro potenziale esistenziale. La coscienza di classe e la lotta di classe dovevano secondo Marx realizzare le condizioni per l’umanesimo ( E. Fromm, citato a memoria ). Ciò è ancora vero, ma occorre capire come debba essere rinnovata l’idea di “umanesimo” per renderla significativa e motivante nella “epoca post-moderna” in cui viviamo.
Per ragionare su questo occorre inoltrarsi sui sentieri impervi del pensiero filosofico che da me sono poco praticati, quasi sconosciuti e talvolta oscuri. Nelle letture fatte negli ultimi anni, mi pare di trovare qualche aiuto per procedere. Il pensiero di Hannah Arendt mi sembra un punto di partenza. In “Vita activa” la Arendt mise in evidenza la necessità di reinterpretare il concetto di “umanesimo” quando sostenne che l’affermazione centrale dell’umanesimo, ” l’uomo è la misura di tutte le cose”, non era accettabile perché l’”uomo” non esiste se non come pura astrazione; esistono nella realtà gli uomini, le loro storie, le loro civiltà. Sono “uomini“ con le loro storie , con le loro civiltà a fissare una pluralità di misure.
L’altro punto di riferimento per una fondata critica dell’idea di umanesimo che abbiamo ereditato dal passato è stato per me il “pensiero sistemico” sviluppatosi nella seconda metà del ‘900. Filosofi, epistemologi, scienziati , cibernetici ( da Foster, a Bateson, a Morin, ecc.) che hanno fondato il nuovo paradigma del pensiero sistemico, hanno dimostrato i limiti del metodo cartesiano e della scienza classica newtoniana che hanno dominato l’Occidente negli ultimi quattro secoli: un pensiero che procede per idee chiare, distinte, che separa e contrappone, che isola i singoli fenomeni per conoscerli e dominarli, recidendo le relazioni che li rendono interdipendenti e che legano gli esseri umani tra di loro e con la natura.
Il progresso che ne è conseguito, seguendo il criterio del dividere e separare, ha finito per separare anche etica e conoscenza e per disinteressarsi delle conseguenze collaterali che la sua azione avrebbe potuto avere sulla vita degli altri esseri viventi, conseguenze che si sono rivelate talvolta nefaste. Per questi suoi caratteri nel momento in cui ha raggiunto l’apice della sua potenza, proprio per la straordinaria efficacia mezzi creati dalla tecnologia, il pensiero che realizzato quella tecnologia, si è rivelato un pensiero distruttivo.
L’idea di umanesimo che si è sviluppata in questo contesto, ne ha fatto propri caratteri. È un umanesimo antropocentrico, eurocentrico, un umanesimo che non ha saputo riconoscere, accogliere le diversità umane, le ha respinte e talvolta soppresse, che, nel perseguire l’obbiettivo di affermare la propria essenza, ha ignorato o trascurato le interconnessioni profonde, che legano tutti i viventi e che sono essenziali per mantenere la vita sulla Terra.
Abbiamo bisogno di un umanesimo fondato su un pensiero che connetta persone, gruppi sociali, mondi culturali diversi e l’umanità alla natura di cui è parte e non padrona.
Un pensiero che connette è un modo di “conoscere , comprendere e decidere “ capace di interconnettere , di solidarizzare conoscenze separate, capace prolungarsi in un’etica di solidarietà tra umani, di sentirsi parte di una “mente” più vasta che interrela tutta la natura.
E in questa definizione di epistemologia vi sono già espressi i caratteri che dovrà avere un nuovo umanesimo.

La Comune di Parigi e i riformismi contemporanei
Sarà senz’altro vero che la storia non ha mai insegnato nulla alla vita e che è la vita dei nostri giorni a farci capire come sono andati i fatti della storia,(citazione a memoria da Bloch ) tuttavia, ragionando per differenze, qualche utile confronto per capire le vicende dei nostri giorni penso si possa sempre fare.
Così può essere utile il richiamo alla Comune di Parigi.
So poco di storia e se Google non aiutasse anche stando sotto una quercia in un parco londinese ( vedi anarcopedia, win.storia.net, marxpedia.it ecc) ne saprei ancora meno,
Credo tuttavia di poter dire che
1) colpisce , guardando con occhi di oggi:
la pluralità di forze in campo, dal movimento operaio legato alla prima internazionale, agli eredi dei principii dell’89, al movimento repubblicano , ai Blanquisti, agli anarchici
La ricchezza di idee nuove
La determinazione e la disponibilità a sacrificare, per realizzare degli ideali, tutto anche la vita, per un’azione che era sentita come “lotta di affrancamento dei popoli”
La certezza della validità delle proprie idee che faceva sentire gli insuccessi come sconfitte provvisorie e non come fallimenti definitivi
2) fa pensare ,questa pluralità di forze, questa ricchezza di idee alla conflittualità e difficoltà di coordinamento dell’azione politica che ci deve essere stata (che da sempre caratterizza i movimenti di sinistra.)

3) Un’analisi dei riformismi contemporanei, della politica dei paesi ricchi di oggi ( a partire dai riformismi tipo Blair, fino a tutte le alleanze contro il popolo palestinese) , degli ideali di pace di democrazia e di umanesimo predicati oggi, fa capire molto bene quale fosse allora, al di là dell’orribile retorica con cui fu presentata da gran parte della classe colta borghese e dalla Chiesa lo scopo della lotta contro la Comune, quale fosse il senso nascosto degli ideali di patriottismo, di famiglia, di religione che allora venivano sbandierati come valori: sconfiggere i diseredati quando questi si ribellavano per la conquista dei propri diritti, mantenere il potere a chi già lo ha.

Quanto Commare osserva circa il fatto che “ l’autore mandando al diavolo assieme al partito ogni soggetto collettivo”. ..dichiara “il vero soggetto rivoluzionario è l’Io“, “l’opposto di ciò che diceva Marx sulla sconfitta del 48: “ la classe ha rinunziato a trasformare il vecchio mondo con i grandi mezzi che gli sono propri “ , mi pare richiami il problema di quale strategia adottare nella realtà attuale della “società individualizzata”, ponendo il problema in questi termini:
Come superare questa posizione cha appare così arretrata se si osservano le cose da un punto di vista sistemico?
Come riuscire a non essere individualisti in una società individualizzata?
Come realizzare nella “rete” che connette ma non unisce, un soggetto collettivo?
Come affrontare il progresso tecnologico che non elimina il lavoro , ma ne organizza diversamente lo sfruttamento, e “l’espropriazione da parte degli espropriatori ….“, e che sta producendo due fenomeni forse nuovi:
Lo sviluppo è dominato dal potere della tecnologia che non ha altro fine che potenziare se stessa; la novità è che attualmente la tecnologia è così forte da imporre se stessa come fine sia a lavoratori che a imprenditori
Si crea una nuova realtà sociale formata da persone che non sono né disoccupati, né in cerca di prima occupazione, né in formazione, che non si pongono neppure in concorrenza con gli operai occupati, che non sono più funzionali all’esistenza del sistema capitalistico, come “esercito di riserva”, sono semplicemente “superflui” (cfr. U. Beck) .

Una conclusione ( quanto mai provvisoria).

E’ da porre la domanda: chi oggi può avere la forza e la determinazione per un impegno pari a quello dei “parigini della Comune”? Secondo me, le si possono trovare tra i braccianti neri della Piana di Gioia Tauro e della Puglia. Quanto a me, a noi, vi è un compito che potrebbe essere nostro: far sì che la nostra società li riconosca e li accolga più per le loro competenze di lavoratori che per le loro competenze di consumatori ( ove per competenze dei lavoratori si dovrebbe intendere anche il sapersi riconoscere come “ soggetto collettivo” in un mondo senza confini).

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