TERRITORI SOLIDALI di Moreno Biagioni

ANSA. M. Costantino

Territori solidali (Le esperienze di Riace e Caulonia) 

di Moreno Biagioni
A Teano, nel 2010, l’Italia delle tantissime esperienze di base – solidali, a tutela dei diritti, dell’ambiente, dei beni comuni – si incontrò per avviare la ricostruzione di un’unità del Paese che avesse il collante proprio in quelle esperienze, così profondamente in sintonia con i principi della nostra Costituzione antifascista.
Il punto 2 della Carta stilata a conclusione dell’incontro di Teano afferma: “L’Italia che sognamo e che vogliamo … è l’Italia che accoglie il profugo, lo straniero perseguitato, disperato, costretto all’emigrazione da guerre e disastri ambientali, da un’economia globale escludente e punitiva con i più deboli. Un paese aperto al mondo, accogliente, multiculturale”.
Ed era stato proprio quanto era accaduto a Riace ed a Caulonia, presentato a Teano dai rispettivi Sindaci (Domenico Lucano e Ilario Ammendolia), a dare concretezza – la concretezza dellecose che è giusto, opportuno, possibile fare – a tale affermazione (nonché all’articolo 10 della Costituzione). Il regista Wim Wenders, sugli schermi attualmente con la sua ultima opera “Perfect days”, ne aveva data testimonianza per immagini con un bel film (“Il volo”).
Alla paura ed al rinchiudersi in se stessi (l’egoismo contrapposto alla politica, quella vera, secondo la felice definizione di don Milani e dei ragazzi della Scuola di Barbiana) si era sostituita, in quei paesi della Calabria, la coscienza che insieme è possibile lottare, incidere, cambiare lo stato delle cose esistente. E ciò risultava particolarmente vero riguardo ai temi dell’accoglienza, dell’inserimento sociale, dell’inclusione.
In questo campo la paura e le ansie securitarie sono prevalse da tempo in larga parte del Paese, alimentando le politiche nei confronti dei/delle migranti, dei/delle richiedenti asilo, dei/delle profughi/e. E non solo nei provvedimenti del Governo, ispirati dal razzismo della Lega (punta avanzata di un sentire più diffuso) e dei post-fascisti, ma anche nelle misure adottate a livello locale (le ordinanze dei Sindaci e gli atti discriminatori adottati dai Comuni) e nel diffondersi di atteggiamenti ostili verso gli stranieri a livello popolare.
Certo, vi sono stati atti in controtendenza, ma la sicurezza è da tempo la preoccupazione dominante, che ha influenzato e condizionato anche chi, a livello istituzionale,si proponeva politiche di accoglienza.
Oggi il circolo vizioso “paura, richiesta di maggiore sicurezza, aumento della paura e delle misure sicuritarie” ha raggiunto il suo apice, con le dichiarazioni e gli atti governativi contro le ONG che salvano vite umane in mare, con il divieto di dare la residenza nei comuni ai/alle richiedenti asilo, con i respingimenti di coloro che fuggono da situazioni di guerra, di ambienti invivibili, di estrema povertà.
E’ urgente andare in un’altra direzione, partendo dalle comunità locali e sulla base di altri presupposti – essenzialmente i diritti delle persone, la loro realtà di esseri umani, le iniziative che favoriscono l’inclusione e la convivenza -: non bastano al riguardo le enunciazioni, ma occorre un impegno notevole – nello sforzo di impostare e realizzare progetti concreti e nel dare voce a chi non è rappresentato. Certo, di fronte a tutto questo, ricorrerà l’accusa di “buonismo”, ma, premesso che comunque il “buonismo” è sempre meglio del “cattivismo” di chi vorrebbe sparare sui barconi dei/delle migranti (nello stesso modo in cui la tolleranza, benché largamente insufficiente, è pur sempre migliore dell’intolleranza), va sottolineato che il cosiddetto “buonismo” è fatto spesso di parole e di enunciazioni generiche di principio che non si misurano con i fatti ed a cui non seguono provvedimenti concreti, mentre ciò che prospettiamo – e che dovrebbe essere realizzato dalle istituzioni e dalla società civile attiva – è un insieme di provvedimenti, di progetti, di misure, di interventi politico-culturali volti ad affermare diritti, a promuovere pari opportunità, a sostenere rapporti di convivenza, a creare un clima – sociale, culturale, politico – diverso.
Dalle esperienze di Riace e Caulonia, di paesi cioè che la presenza dei migranti – essenzialmente profughi del Nord Africa – ha rivitalizzato (finché gli attacchi esterni, del Governo e della Magistratura non lo hanno impedito), possono venire indicazioni valide anche per altre situazioni. Particolarmente importante è il fatto, già accennato all’inizio, che in quanto è stato pazientemente costruito in quelle realtà si sono intrecciati aspetti diversi: la tutela dell’ambiente, la cura di zone agricole e boschive, il restauro e la ristrutturazione di agglomerati in via di abbandono, il recupero di mestieri tradizionali, lo sviluppo di percorsi che, attraverso il confronto, hanno coinvolto
insieme nativi e migranti.
Non si tratta, quindi, di interventi soltanto di accoglienza, spesso puramente assistenziali e destinati a concludersi in periodi più o meno brevi, ma di progetti complessivi che impegnano l’ente locale e l’intera comunità (e che proseguono nel tempo). E proprio per questi aspetti positivi il Sindaco Lucano è stato inquisito e condannato.
Qualche piccolo esempio di un simile modo di procedere lo abbiamo anche, seppure più limitato, in altre realtà.
E’ necessario però andare oltre, e cioè far sì che, di fronte all’arrivo ricorrente di profughi e richiedenti asilo, o comunque alla presenza di persone emarginate, non vi sia un’indifferenza istituzionale, quando non addirittura un’ostilità (spesso si è proceduto allo sgombero da un territorio comunale all’altro di quelle/i che vengono
considerati “esuberi” rispetto alle presunte capacità di accoglienza della propria realtà comunale).
A Firenze, ad esempio, a dare un tetto a profughi e richiedenti asilo, in prevalenza somali ed eritrei, è stata per un lungo periodo l’iniziativa “privata” (fra virgolette) del Movimento di Lotta Popolare per la Casa.
L’obiettivo che ci dobbiamo porre, istituzioni e società civile attiva insieme, è quello di giungere a sistemi in grado di fornire una prima accoglienza a coloro che ne hanno bisogno, siano essi richiedenti asilo, profughi, Rom scacciati da un territorio ad un altro, persone rimaste comunque prive di abitazione in seguito a calamità naturali o altro.
Per passare poi, subito dopo, a processi di inclusione sulla base di progetti integrati, che prendano anche spunto dalle esperienze calabresi, dove è stato dimostrato, con grande passione ed impegno, come sia possibile amministrare “restando umani”, con percorsi che mettono insieme, nell’elaborazione di progetti concreti, enti locali, associazionismo e società civile attiva, “saperi” prodotti dalle realtà sociali e di movimento, dai luoghi di studio e di ricerca, da singole competenze, in diversi settori che devono interagire fra di loro (dell’accoglienza e dell’inclusione, del recupero abitativo, dell’assetto urbanistico, del ripristino e del mantenimento delle aree boschive ed agricole, del recupero dei vecchi mestieri artigianali, dello sviluppo di un turismo “spalmato” su un’intera regione, e non solo nelle grandi città d’arte, della tutela dell’ambiente e del territorio, del consumo equo e solidale, della cooperazione, della formazione e dell’interculturalità).
Mimmo Lucano, Sindaco di Riace al tempo delle esperienze solidali, è stato assurdamente ed ingiustamente inquisito, con accuse assurde e la richiesta di 14 anni di detenzione (si è voluto fare il processo alla solidarietà). Oggi la persecuzione giudiziaria è venuta meno, ma gli ostacoli all’accoglienza ed all’inclusione dei/delle migranti continuano. Infatti, considerato con quale governo nazionale abbiamo a che fare, accogliere, includere, convivere risulta sempre più difficile. Ma anche tanto più urgentemente necessario. Per fermare la regressione in atto su questo tema, come del resto su molti altri.

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